Parix – Mostra Fotografica
Fourmillante cité, cité pleine de rêves,
où le spectre en plein jour raccroche le passant!
Città brulicante, piena di sogni,
dove in pieno giorno, gli spettri abbracciano i passanti!
Presentazione di Paolo Fogagnolo:
Parigi, così la descrive Charles Baudelaire, ne “I fiori del male”.
Una metropoli antica e cosmopolita, eclettica e pulsante, ma anche poetica e misteriosa, dove i sogni possono assumere sembianze reali, così come confondersi e perdersi nell’arcano.
Di questa città Edoardo Cuzzolin ha cercato di cogliere lo spirito ubiquo, riprendendola in certi suoi aspetti meno evidenti, anche contraddittori, talora sfuggenti.
Proposito enunciato nel titolo: Parix, con la “x” finale. Nel significato di segno marcante cose da mettere in rilievo, ma anche di lettera “ics”, l’incognita per antonomasia, a indicare cose sconosciute e misteriose.
Parigi è una città così grande e così varia da essere diventata un mito. E i molti modi in cui questo mito è stato descritto hanno creato tante Parigi diverse.
C’è una Parigi, che con i sui luoghi, i suoi monumenti e la sua storia, si fonde nella sintesi allegorica della grandeur ideale descritta da Victor Hugo, così c’è una Parigi, più quotidiana, raccontata in modo metaforico da Baudelaire.
Entrando nella città, si è come avvolti dalla rete di corrispondenze tra la Parigi reale che vediamo e quella ideale, letteraria, che ci portiamo dentro. E’ come passare attraverso una foresta di segni che, come scrive sempre Baudelaire, ci “lanciano occhiate familiari”. A queste occhiate Edoardo Cuzzolin ha scelto di rispondere con lo sguardo fotografico, girando per la città in lente e lunghe passeggiate, con l’atteggiamento che proprio Baudelaire ha descritto coniando il termine “flâneur”, di colui che passeggia senza fretta e apparentemente senza scopo, notando i particolari di un palazzo o la luce di una strada.
Questa ricerca del “particolare”, è rivolta più ai luoghi che alle persone. Poche sono, infatti, le immagini in cui si nota la presenza umana, e quando c’è, non è comunque mai in posizione rilevante rispetto al contesto. Lo si vede nella foto che riprende un gruppo di turisti davanti all’ingresso del Théâtre de Chaillot, o in quella con le due donne che camminano in un solitario angolo di Montmartre, e soprattutto, in modo più evidente, in quella dei bambini colti mentre giocano in Quai de Seine, dove il loro movimento non mette in secondo piano il rilievo che, nel fotogramma, si è voluto dare alle geometrie della segnaletica stradale.
Questo modo di guardare la città ha coinvolto anche i suoi monumenti simbolo, che compaiono anch’essi in poche foto, talvolta in lontananza, sullo sfondo, come in una scenografia.
Così ci appare Notre Dame, in tutta la sua solennità adagiata sull’Ile de la Cité, ma vista da dietro, di spalle, come si può guardare una elegante ed aristocratica signora di cui non si riesce a sostenere lo sguardo. Mentre la Tour, dell’ingegner Eiffel, è invece ritratta sempre in pendant con altre strutture metalliche, come se fosse là, non per far mostra della sua svettante imponenza, ma per dare testimonianza dell’esistenza di una Parigi di ferro, più tecnologica, accanto a una Parigi di pietra, più antica.
Montmartre è una collina che sovrasta la città. Nell’ottocento era il quartiere maledetto, dove trovavi artisti squattrinati in cerca di fortuna e donnine in cerca di clienti, ed oggi trovi tanti turisti in cerca di souvenir.
Il punto di vista da cui ci viene proposta è del tutto inusuale. Niente basilica del Sacro Cuore, niente istantanee del variopinto fermento urbano, ma solo la monotonia cromatica e il gioco delle prospettive dato da scorci di palazzine residenziali.
Immagini riprese per essere viste insieme, come in un trittico. Nella prima, il rosso dei mattoni non intonacati contrasta con l’architettura molto composta e borghese della facciata, creando uno spaccato evocativo, dal quale sembra emergere la Montmartre popolare e plebea, da cui partì la scintilla che incendiò Parigi con la rivoluzione della Comune.
Les Halles è nel cuore della città. Una zona destinata a mercato sin dal medioevo, dove lo scrittore Emile Zola ha ambientato il suo romanzo “Il ventre di Parigi”. In epoca recente sull’area, e ancora di più sotto di essa, sono stati realizzati un parco, un centro commerciale, diversi locali, tra cui un cinema, e una stazione ferroviaria sotterranea.
Del luogo, le immagini in mostra vogliono comunicare il forte ed inaspettato senso di contrasto tra vecchio e nuovo che si percepisce entrandovi. Un contrasto prodotto dalla diversità di epoca dei fabbricati, unico, perché non avviene come in altri centri storici, per accostamento, ma su piani diversi. L’area centrale può ricordare un enorme scavo, come un sito archeologico, ma “a rovescio”, dove in alto ci sono palazzi antichi di secoli, mentre in basso strutture ultramoderne.
In una foto è ritratta la vetrina di un vecchio negozio del Marais. Uno dei quartieri più antichi della città, e uno dei pochi a non aver subito le trasformazioni e gli sventramenti ottocenteschi del barone Haussmann, che le ambizioni napoleoniche del secondo impero, avevano delegato a trasformare Parigi nella “capitale più bella d’Europa”. E’ il quartiere ebraico amato da Proust, ma anche da Balzac. E proprio balzachiana può essere la corrispondenza richiamata, perché, al di là dei vetri che riflettono i palazzi di fronte, si potrebbe intuire la presenza e, con un po’ di fantasia, anche distinguere i tratti di una figura rintanata all’interno. E vedere uno di quei personaggi grotteschi, mostruosamente mutati dal luogo in cui vivono, descritti in certi racconti dello scrittore. Magari scorgervi un mercante avido, ruvido e viscido come un’ostrica, che aderisce alla sua bottega come un mollusco al suo guscio.
Infine, restando sempre in tema di corrispondenze letterarie, nell’incipit de “Lo Spleen di Parigi”, Baudelaire si rivolge ad un enigmatico straniero chiedendogli quale sia la cosa che egli ami di più.
E questo, dopo aver escluso padre, madre, fratello, sorella, amici, patria, ricchezza, ed aver avuto qualche esitazione sulla bellezza, risponde “J’aime les nuages…les nuages qui passent…les merveilleux nuages!”, “Amo le nuvole…le nuvole che passano…le nuvole meravigliose!”.
Credo che Edoardo Cuzzolin, girando per Parigi, le abbia trovate quelle nuvole, perché sembra di intravederle, tra le immagini in mostra, mentre stanno lassù, meravigliose come “meraviglie che sovrastano uno scrigno di meraviglie”, in quella foto in cui sono ritratte sopra i pinnacoli dell’Oratorio del Louvre.
Anche questa è Parigi, anzi Parix.